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Jolly28

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L’Haiku magico di Nozomi

“Hai la debolezza di voler stupire. Cerchi versi splendidi per cose lontane; dovresti trovarli per cose che ti sono vicine”, le ripeteva sempre il nonno facendo sue le parole del poeta Basho, ma Nozomi non ci stava. Lei avrebbe scritto l’Haiku più bello che fosse mai stato scritto e voleva trovare qualcosa di unico, qualcosa che a nessuno era ancora venuto in mente e con quello avrebbe vinto il concorso di Ito-en il più famoso fra i produttori di the e anche se non l’avesse proprio vinto, avrebbe avuto la possibilità di finire con altri 1999 sulle bottiglie del the Oi Ocha, sai che soddisfazione ricevere a casa una scatola di bottiglie con il suo Haiku bello stampato sopra. Non le avrebbe mai bevute, l’avrebbe tenute per farle vedere ai suoi figli, quando sarebbe stata grande e sposata con Hogay che però ancora non sapeva di essere il suo futuro fidanzato. In fondo c’era tempo, aveva solo dodici anni e Hogay solo uno in più.

«Cosa ho detto, Nozomi?», le chiese il professore di storia sul più bello dei suoi pensieri. Doveva inventare qualcosa, subito, perché altrimenti sarebbe stata un’altra nota da portare a casa, un’altra sgridata dal papà, ma, soprattutto, stoviglie di tutti da lavare per una settimana o forse per un mese, se la mamma era di cattivo umore.

«Allora?», incalzò il noioso professore Mashiti e la sua faccia era cattiva e gli occhi, dietro le lenti, più sottili del solito e fu in quel momento che accadde.

Lieve come un beccheggiare di barca, nessuno mi mosse, anni di abitudine avevano fermato il panico, ma fu sufficiente perché Mashiti distogliesse l’attenzione da Nozomi. Poi cadde un libro dalla libreria e il sussultare si fece più intenso e non finiva mai, minuti interminabili. Bisognava uscire e scendere le scale, con calma. L’edificio era antisismico ma nel caso di scossa così intensa era sempre meglio andare in strada. Nozomi agguantò lo zainetto delle emergenze e indossò l’elmetto, poi si mise in fila dietro Ragani. La facevano spesso l’esercitazione di prova, solo che adesso era vero, terribilmente vero perché quella scossa non finiva più, quello era lo jishin, il grande terremoto.

Nozomi vide che in strada c’era un sacco di gente, ma c’era anche tanto silenzio. Nessuno si sarebbe sognato di mettersi a gridare, se aveva paura se la teneva dentro perché avrebbe potuto spaventare gli altri e diventare contagioso e sarebbe stato il panico e i più deboli ci sarebbero rimasti sotto. Questo pensava Nozomi e dentro di lei aveva paura. Paura di arrivare a casa e non trovare più nessuno, magari la sua casa crollata, le sue cose, la sua stanza, la sua bambola con la quale giocava ancora anche se era grande, diceva la mamma.. Una mocciosa, la chiamava il fratello e chissà dov’era in quel momento. Il papà che forse a quest’ora era ancora al lavoro, ma non ricordava quando avrebbe smesso. Ora nella sua testa aveva confusione e paura, ma chi l’avrebbe mai detto? Da fuori era semplicemente una graziosa ragazzina a cui il caschetto donava pure, le dava un’aria interessante. Arrivarono in file ordinate al punto di aggregazione e lì si sarebbe deciso il da farsi. Erano bambini, non li si poteva lasciare andare a casa da soli, ma Nozomi non si sentiva affatto una bambina, lei aveva già avuto il kikan, la prima nella sua classe, la testimonianza che lei era grande e avrebbe persino potuto avere un bambino tutto suo.

Si sedette sul marciapiede mentre Mashiti prendeva accordi con gli altri professori per organizzare l’emergenza. Parlavano sottovoce fra loro, uno ascoltava qualcuno dall’altra parte del suo cellulare e poi riferiva agli altri, ma Nozomi non aveva voglia di sentire quel che si dicevano perché aveva paura di sentire qualcosa che le facesse ancora più paura di quella che aveva già e che ora riusciva a nascondere, ma sarebbe bastato un piccolo particolare in più per farla scoppiare, E allora avrebbe pianto e gridato fino a rimanere senza fiato e tutti le si sarebbero fatti intorno per consolarla e magari anche il professor Mashiti le avrebbe fatto una carezza.

Si chiuse le orecchie con le mani e nel silenzio della sua testa ebbe la sensazione che ora o mai più. Le sarebbe uscito quell’Haiku che cercava da sempre, quello era il momento ed era irrepetibile perché ancora abbastanza calmo, perché ancora non sapeva nulla di quel che era successo. Poteva essere una volta come le altre, ma anche no e allora poi non ci sarebbe stato più tempo.

Trema la terra

Non provare paura

È così che va

Le venne alla mente solo questo, non era un verso splendido per cose lontane, era qualcosa di così vicino che era dentro di lei.

L’avrebbe recitato al nonno e poi spedito a quel concorso. Magari sarebbe finito su qualche bottiglia e lei l’avrebbe tenuta da mostrare ai figli e poi ai nipoti.

Per un po’ si dimenticò di avere paura, quelle diciassette sillabe ebbero uno strano potere su di lei, allora si girò verso Fumika, la sua piccola e spaventata compagna di banco e gliele sussurrò nell’ orecchio.

Fumika sorrise e posò una mano sulla sua.

(da Autori per il Giappone)

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