La ballata di un piccolo giocatore – Recensione di AmmazzaCasino

Colin Farrell in una scena notturna a Macau, illuminato da insegne al neon, in un clima tipico dei casinò asiatici.
Farrell in versione giocatore maledetto: Macau di notte non perdona, e il baccarat ancora meno.

La ballata di un piccolo giocatore – Recensione di AmmazzaCasino

Quando Netflix “esce” un film ambientato nei casinò di Macau, noi della redazione di AmmazzaCasino
non possiamo far finta di niente. E stavolta tocca a La ballata di un piccolo giocatore, con Colin Farrell nei panni del classico aristocratico maledetto in rovina che tenta di rianimare il proprio ego a colpi di baccarat.
Atmosfere al neon, lusso stanco e un protagonista che cade nella trappola più antica del mondo:
pensare di avere il tavolo sotto controllo quando è il tavolo a controllare lui. Come quel famoso detto di Nietzsche nel suo Al di là del bene e del male: “se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te”. E il tavolo verde guarda decisamente dentro di lui: non solo guarda, lo prende anche a schiaffi.

Il film intrattiene, sì. Le luci, Macau di notte, l’aria densa dei casinò asiatici… tutto fatto bene, perfetto per chi — come il sottoscritto — ha ancora nostalgia della città dopo averci messo piede nel lontano 2009. Però la storia resta lì, a mezz’aria. Punta in alto, te la tira per un’ora e mezza, e quando dovrebbe spingere sul pedale ti lascia con un: “ok, tutto qui?”. La chiusura è quella roba da favoletta adulta con un velo di tristezza, il genere di finale che non ti lascia segnato, ma ti fa dire “sì, dai, carino”. Niente di più.

Per quanto riguarda il baccarat, è evidente che al regista interessi più l’estetica che il gioco. Il tavolo è trattato come un altare mistico dove il destino si prende la briga di rovinare l’ennesimo occidentale convinto di avere il “tocco”. Chi gioca seriamente riconosce al volo l’impostazione da casinò asiatico: superstizione, rituali, gesti ripetuti come se ci fosse un ordine segreto della fortuna. Ma il film non affonda nel gioco reale, non tocca i numeri, non arriva alla carne viva del rischio. Rimane in superficie. Gli fa comodo così.

Baccarat: come si gioca davvero

Visto che il film usa il baccarat come scenografia, facciamo chiarezza noi. Il gioco vero è meno mistico e molto più meccanico. Ecco il nocciolo nudo e crudo: si scommette su tre opzioni — Banco, Giocatore, Pareggio. Fine. Niente invenzioni creative, niente strategie segrete dei “guru”. Il resto è matematica e disciplina.

Il Banco ha un margine migliore praticamente sempre. È per questo che vedi i giocatori esperti puntare quasi ossessivamente sul Banco, ignorando quel romanticismo del “oggi tocca a me”. Chi è abituato a sedersi al tavolo sa che la vera difficoltà del baccarat non sta nel capire le regole, ma nello stare fermi quando vorresti inseguire una striscia che non esiste. Il film gioca proprio su questa illusione: ti mostra il protagonista che interpreta il tavolo come un oracolo, come se leggere i pattern fosse scienza.
Chi ha esperienza sa che i pattern contano zero.

Il sistema di punteggio è spiegato anche nel film, ma lo ripetiamo: conta solo la cifra delle unità. 8 e 5 fanno 13, quindi vale 3. Se le carte lo richiedono, viene pescata una terza carta secondo regole fisse (che non decidi tu). Nel baccarat l’unica “scelta” è la puntata: il resto è predeterminato, ed è questo che piace ai giocatori asiatici. Il tavolo scorre come un fiume. Non lo influenzi, non lo comandi. Lo subisci o lo accetti. Punto.

Quello che è aderente alla realtà è il rituale della girata della carta del giocatore: chi è stato a Macau, o in un qualsiasi casinò popolato da avventori asiatici — quindi praticamente tutti — riconosce la lentissima girata piegando la carta in un modo che, in una partita di poker tra amici, farebbe arrabbiare non poco il proprietario del mazzo di carte.

Macau: il contorno che vale più del piatto

Il film funziona proprio qui. Macau non è un accessorio: è un personaggio. Le sale enormi, il silenzio pesante degli high-rollers, le superstizioni, gli sguardi che non tradiscono niente. Questa parte è autentica e chiunque ci sia stato la riconosce immediatamente. È quello che mi ha preso più di tutto e mi ha riportato indietro a quella visita del 2009. La Macau del film è la Macau vera: non è frenetica come Vegas,
non è teatrale come Montecarlo. È più cupa, più ruspante, più rituale, più “ti guardo mentre ti scavi la fossa con la tua stessa mano di baccarat”.

Conclusione: un viaggio piacevole, una storia che non osa

La ballata di un piccolo giocatore è un film elegante, ben costruito visivamente, con un protagonista convincente. Ti tiene incollato, ti fa viaggiare, e questo basta per un paio d’ore di intrattenimento. Ma non aspettarti un grande affresco sul gioco d’azzardo, né un’analisi profonda del baccarat. È una storia ben vestita, con un finale che vorrebbe essere amaro ma non affonda mai il colpo.

Se cerchi un film che ti porti — o ti riporti — a Macau, sei servito. Se cerchi qualcosa che ti insegni davvero qualcosa sul baccarat, o sul gioco d’azzardo, lascia perdere. Qui conta l’atmosfera, non il gioco.